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trekking cime

Il Gran Paradiso - 4061 mt.

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info salita
Il penultimo week-end di luglio 2010 mi ha portato il mio terzo quattromila, era molto tempo che desideravo superare nuovamente quella quota, e volevo farlo con una cima che non fosse facile come quella del Breithorn fatta tre anni prima. Il mio ideale sarebbe stato fare il Bernina, ho ancora un conto in sospeso con esso: da ragazzo con mio cugino avevamo tentato questa cima, ma proprio sotto le roccette finali che introducono alla cresta abbiamo desistito perchè non ci sentivamo sicuri e siamo rientrati: esso resta sempre un chiodo fisso, che forse rimarrà tale. Ad inizio luglio, tramite mail, ho chiesto lumi per salirlo con una guida, ma il prezzo per una persona è veramente notevole (almeno per me): 600€. La settimana prima ero andato con il CAI di Vimercate in Val Senales, per salire il Similaun (il cattivo tempo non ci ha permesso neanche di iniziare), e nel viaggio di ritorno, chiaccherando con un componente del gruppo, mi ha detto che il Gran Paradiso lui l'ha salito da solo, non è una ascensione problematica, anche se è necessario tenere sempre presente che si sale su un ghiacciaio. A questo punto decido di tentare questa salita, lo farò senza essere legato in cordata e per di più solo, senza alcun compagno se non le persone che salgono quel giorno lungo la traccia di salita che percorrerò anch'io. Sia nel 1998 che nel 2007 quando sono salito con amici alla punta Gnifetti ed al Breithorn non avevamo costituito una cordata, ognuno sapeva che la sua sicurezza dipendeva solo da se stesso, dalla sua prudenza e dalla sua abilità, oltre che dal fato naturalmente. Io credo fermamente che il legarsi in cordata, nel caso di persone che non sanno fare sicurezza (ed io sono tra questi) in caso di incidente si aumenta il numero degli infortunati (vittime). Proprio la settimana precedente a questa mia uscita, sulla cresta del Lyskamm sono precipitate due persone, il primo è scivolato ed a trascinato il secondo.

Contatto il rifugio Vittorio Emanuele (su consiglio altrui scarto la salita dal rifugio Chabod, perchè mi farebbe percorrere il Ghiacciaio di Laveciau molto crepacciato), ma non trovo posto per la notte tra venerdi e sabato, per cui traslo di due giorni e decido per la domenica e lunedi. Per il viaggio decido di usare la macchina (anche se malvolontieri), il treno ed in pulman hanno orari che non coincidono con i miei. La val Savarenche è una valle sotto certi aspetti ancora poco turistica, è situata nel parco nazionale del Gran Paradiso, dove la natura la fa da padrone, è silenziosa e discreta, assopita nella quiete del mattino. Arrivato a Pont trovo un parchggio completamente strapieno, dietro front per alcune centinaia di metri sino a trovare un buco a lato strada . Un breve spuntino, il cambio delle scarpe, da quelle comode e leggere da sport agli scarponi pesanti da ghiacciaio e poi sono in marcia verso l'inizio del sentiero . La salita al Rifugio Vittorio Emanuele è una escursione molto bella nell'ambiente del parco nazionale; al parcheggio mi dirigo in direzione sud verso una piccola casetta di legno che ospita l'ufficio delle Guide locali; lì evidenti cartelli mostrano la direzione del percorso che raggiunge il rifugio. Si inizia con ampia strada poderale, dopo aver attraversato il torrente su un comodo ponte, che porta sulla sponda idrografica destra del torrente stesso risalendolo a margine per un lungo tratto quasi pianeggiante, raggiungo fra prati e boschi di larici, una lunga baita alla cui sinistra vi è un caratteristico crotin con volta a botte. La baita è preceduta da una fonte; poco dopo la baita termina la poderale ed inizia il sentiero vero e proprio che si stacca da essa con una deviazione a sinistra: inizia a salire decisamente ma sempre con una serie di ampi tornanti, per cui mai in maniera ripida e, come molti altri sentieri storici del parco, lastricato in gran parte ed oggetto di accurati interventi di manutenzione . A circa metà tragitto si esce dal bosco , è passato quasi un'ora e mezza ed io inizio ad arrancare, sono stanco e mi devo fermare per respirare, ci sono tutti i presupposti per essere una uscita NO! Continuo a salire lentamente, e mi riposo un poco fermandomi a fare fotografie, così prendo fiato. Raggiungo un pianoro che viene chiamato Chanté e che è un magnifico balcone panoramico; qui la visione si apre ad uno scorcio molto bello sulla Val Savaranche e specialemnte sull'abitato di Pont che già appare molto lontano. Si prosegue sempre con tornanti su percorso mai difficile, spesso affollato di escursionisti ed alpinisti   , oltre una prima cresta si incomincia a vedere i primi ghiacciai verso la testata della valle   ; la pendenza del terreno si fa meno ripida e si comincia ad entrare nel vallone che si mostra come una lunga serie di falsopiani da attraversare in diagonale e poi con una serie di zone sassose e pascoli più poveri, erosi dal ghiacciaio in epoche remote. Il sentiero continua a salire a mezzacosta superando un buon dislivello  con ampie serpentine, ci si inoltra ancora più profondamente nel valloncello seguente costeggiando in un tratto pianeggiante    del sentiero una cascatella sulla sinistra di un torrente che scende dal lago presente accanto al Rifugio. Dopo un tornante ed un tratto di sentiero lastricato a gradoni; il sentiero sembra biforcarsi in corrispondenza di bivio, in realtà la via che sale a sinistra e si ricongiunge con quella diretta  poco prima del rifugio: ha interesse poichè da essa si stacca il sentiero per il Rifugio Chabod. In breve si giunge in vista del grande rifugio nuovo che verrà raggiunto entro pochi minuti di comodo cammino . Il rifugio  sorge sulle rive di un laghetto intramorenico , poco distante da esso vi sono la cappellina ed il rifugio vecchio. E' di proprietà del CAI di Torino, e si compone di due fabbricati distinti: uno il "vecchio" posto leggermente più in alto fu edificato negli ultimi anni del secolo scorso ed è una costruzione in pietra che ospita oggi locali invernali ed il casotto di sorveglianza delle Guardie del Parco ; l'altro il "nuovo" dalla forma ellittica  che lo caratterizza fu costruito negli anni successivi alla guerra grazie anche al valido contributo dell'allora gestore Dayné Valentin, Guida Alpina della Valsavarenche. Dal sito del rifugio si gode di una spettacolare vista sulla parete nord del Ciarforon  e sul suo ghiacciaio posto sulla cima , oltre che di altre vette .
Al rifugio chiedo al gestore le condizioni della via di salita, e mi informo anche su quella per la Tresenda (un tremilaesei a sud del Gran Paradiso), in questo caso avrei una salita prima su morena, poi l'attraversamento del Ghiacciaio di Moncorvè ed infine il tratto finale su facile (si fa per dire) cresta; per contro è una via poco battuta. Per questo scelgo di tentare il Gran Paradiso, anche se mi sento non in perfetta efficenza. Su consiglio del gestore porto le mie cose in cameretta e poi esco a controllare la prima parte del percorso che dovrò effettuare al buio con la sola luce della frontale . Subito fuori dal rifugio  si deve attraversare una pietraia, massi di roccia precipitati per una frana dalla parete sovrastante, è già difficile orientarsi e indovinare la traccia per attraversarla di giorno, posso immaginare al buio che divertimento. Poi si inizia su un sentiero che risale la morena del ghiacciaio , sono molto stanco ed il tempo è incerto, ma il paesaggio attorno a me mi rincuara: dai prati fioriti agli animali alle cime ghiacciate .

La salita alla cima. Dopo una notte quasi insonne la sveglia dell'orologio, alle 3,45, mi segnala che è ora di alzarmi, preparare lo zaino e lasciare la cameretta che ho diviso con una coppia inglese, con lei che ha russato tutta la notte. Colazione e poi con calma la partenza. Fuori dal rifugio fa freddo ed è buio pesto, il cartello che segnala l'inizio del sentiero si vede a malapena , percorro il sentiero che si inoltra subito in una pietraia di grossi blocchi rocciosi dove, nonostante i numerosi ometti, è facile perdere la giusta direzione, ma seguendo altre cordate in qualche modo la attraverso e mi ritrovo sul sentiero, che ora è abbastanza visibile con la luce della frontale. Giunto in corrispondenza dello sbocco di un vallone detritico, ne risalgo il ripido pendio finale, per poi continuare con pendenza più moderata; quì il sentiero si sdoppia, il primo sale il valloncello sulla destra idrografica, una seconda traccia lo percorre vicino al ruscello che raccoglie l'acqua del ghiacciaio. Seguo le altre cordate che quasi tutte procedono su questa seconda via; l'ambiente ora è quasi fiabesco, nel buio piccoli punti luminosi si muovono in uno scenario che si può immaginare grandioso! Procedo sempre vicino al ruscello con parecchi attraversamenti dello stesso, e poi la gola si restringe, costringendomi a camminare, molto spesso, nell'acqua o sui massi bagnati che il freddo della notte ha ricoperto di verglas; l'equilibrio è difficile si appoggia il piede e questo scivola via, cado e picchio un gomito, e comincio a pensare che forse tornare indietro, anche a causa della mia forma non perfetta, potrebbe essere lo sbocco finale di questa uscita: però continuo, la mancata salita al Similaun del week-end precedente (causa maltempo) brucia ancora e non voglio mandare buco un'altro week-end; inoltre essendo impegnato in due settimane di trekking ad agosto non mi resta più molto spazio da dedicare alle cime. Scavalco un grosso masso e dopo qualche centinaio di metri arrivo all'inizio del ghiacciaio  (3000 mt circa); indosso l'imbrago (su consiglio del gestore del rifugio l'ho portato) perchè se in difficoltà posso essere agganciato con un moschettone e corda; calzo ghette e ramponi e poi inizio a risalire, con l'intenzione di tornare se proprio non riesco a proseguire, oppure se il tempo, con nubi basse, dovesse peggiorare ulteriormente. La traccia svolta decisamente a destra ed inizio a salire un tratto di ghiacciaio molto ripido e faticoso ; il tempo non migliora, sempre nubi basse , e questo mi induce a pensare d'aver una scusa per rientrare, ma per ora continuo. Raggiungo un primo plaeaux, davanti a me una coppia che viaggia più o meno alla mia velocità ; la traccia corre verso della morena sovrastata da un ripido muro di ghiaccio   ; la devo attraversare, decido di non togliere i ramponi (farò poi opera di affilatura delle punte). La coppia decide di rientrare a causa del cattivo tempo, io invece salirò il muro per vedere che c'è sopra e poi decidere il da fare. Attraverso la morena di superfice   , per poi attaccare e risalire con zig zag il ripido pendio , raggiungo il plateaux sovrastante chiamato schiena di mulo, la dorsale crepacciata che separa il Ghiacciaio del Gran Paradiso da quello di Laveciau. Mi fermo per riposarmi e respirare (l'altezza comincia a farsi sentire) ed ammirare il panorama da uno squarcio nelle nubi . Si sale ora a sinistra un ripido pendio   , per poi piegare bruscamente verso destra e risalire con una pendenza più dolce     ed io ne approfitto per fotografarmi con l'autoscatto . La salita prosegue su ottima traccia verso il colle della Becca di Moncorvè, aperto fra la Becca di Moncorvè (3875 m, a destra) e l'ardito aguzzo spuntone de Il Roc (4028 m, a sinistra). Improvvisamente le nubi si diradano un poco ed io intravedo la cima del Gran Paradiso ancora avvolta nella nebbia , e capisco che ormai il più è fatto, certo il mio altimetro mi indica che mancano circa 350 mt di dislivello, ma ormai il buon esito di questa salita sembra a portata di mano, e decido di continuare sino in cima. Una tranquilla traccia mi porta sino al colle dell'Ape, mentre la nebbia che avvolgeva la vetta continua a diradarsi . Giunto al Col dell'Ape, faccio sosta per riposarmi e scattare le immancabili foto , poi affronto l'ultimo tratto che svolta decisamente a sinistra e all'inizio presenta una pendenza veramente significativa su un tratto ghiacciato; io che non sono in sicurezza mi devo muovere con estrema cautela . Successivamente la pendenza diminuisce e mi avvicino sempre più alla cresta di vetta  , e davanti a me, in lontananza, la maestosa cima del Monte Bianco , continuo lungo la traccia e vedo la cima sempre più vicina , poi compare davanti a me la crepaccia terminale , non è molto larga (e certamente non impressionante come quella che ho trovato all'Ortles l'anno precedenta), molto chiusa, la supero su un ponte di neve . Un ultimo breve tratto e finisco di percorrere il ghiacciaio, mi tolgo i ramponi e su roccette un po' esposte raggiungo la statua della Madonnina situata sulla vetta covenzionale (quella vera su un torrione di roccia non è raggiungibile se non in arrampicata). Mi guardo attorno, il panorama è impressionante, e io mi chiedo come ho fatto ad arrivare sino lì in una giornata che era cominciata male, ma forse il desiderio di strappare alla casualità della vita il mio terzo quattromila, da un certo punto della salita in poi ha preso il sopravvento su tutto il resto, stanchezza fisica compresa. Però guardo l'orologio ed allora i tempi mi riportano un poco alla realtà delle cose, 6 ore per fare poco più di 1300 mt di dislivello sono un segnale chiaro di una situazione fisica non proprio felice nonostante la mia andatura lenta. A riprova di ciò il confronto con il week-end precedente dove lo stesso dislivello (dal lago di Vernago al rifugio Similaun) l'avevo percorso in quattro ore, anche se però i due tracciati hanno in comune solo il dislivello complessivo. Il tempo per guardarmi in giro, riposarmi e mangiare qualche barretta, poi la richiesta per farmi delle foto ed inizio la strada del ritorno .




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data ascensione 25-26/07/2010
partenza Valsavarenche - Pont
dislivello - I gg 775 mt.
dislivello - II gg 1326 mt.
tempo atmosferico bello
tempo salita - I gg 3h
tempo salita/discesa - II gg 6h/5h 15m

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